giovedì 30 agosto 2007

Lo zen e l'arte di giocare a baseball


In anteprima il paragrafo 2.8 del libro Analisi del fumetto - La composizione delle coppie di tavole:

Mitsuru Adachi ha dato vita con “H2[1] alla sua opera più rappresentativa, sfoggiando uno stile ormai maturo a livello grafico e riuscendo a sintetizzare i suoi temi più cari in un contesto che, grazie alla presenza preminente di una sfida sportiva sul diamante del baseball, vede un accavallarsi degli eventi serrato e tambureggiante.
Le partite vengono descritte in modo dettagliato e trascinano il lettore facendogli vivere un'adrenalina, una tensione e una passione che sono quasi palpabili e concrete. Personaggi e situazioni tanto vivi da permettere al lettore di rimanere rapito e in un certo senso "sentirsi lì" fanno sì che a una prima lettura fatta con foga “H2” venga classificato nel genere dei fumetti sportivi.
In realtà, pur essendo il baseball l'ossatura di tutto il racconto, non può essere trascurato che lo sport, come le vicende amorose e affettive presenti nel fumetto, ha un senso in quanto descrive una tappa della strada di Hiro Kunimi verso la maturità e verso una visione della vita che ha radici nello zen.

Nel corso di “H2Mitsuru Adachi ha modo di introdurre in modo esplicito il tema dello zen in tre coppie di tavole in cui la dolce Hikari è alle prese con la disciplina del tiro con l'arco. Nel secondo volume dell'opera la vediamo per la prima volta mentre pratica il tiro con l'arco, seria e concentrata nel suo abito tradizionale. All’inizio del fumetto i personaggi frequentano la prima superiore, quindi Hikari sta muovendo i suoi primi passi in questa disciplina e non ha ancora avuto modo di curare la sua formazione e di capire che il tiro con l'arco non è uno sport ma una pratica spirituale in cui la meditazione ha un ruolo centrale.
«Uno degli elementi essenziali nell'esercizio del tiro con l'arco e delle altre arti che vengono praticate in Giappone e probabilmente anche in altri paesi dell'Estremo Oriente è il fatto che esse non perseguono alcun fine pratico e neppure si propongono un piacere puramente estetico, ma rappresentano un tirocinio della coscienza e devono servire ad avvicinarla alla realtà ultima. Così il tiro con l'arco non viene esercitato soltanto per colpire il bersaglio, la spada non s'impugna per abbattere l'avversario, il danzatore non danza soltanto per eseguire certi movimenti ritmici del corpo, ma anzitutto perché la coscienza si accordi armoniosamente all'inconscio». [2]
«Questa arte non è una scuola di abilità, o un esercizio manuale, è un'esperienza dell'essere». [3]

Il risultato del tiro di Hikari sembra convincente perché riesce a centrare il bersaglio ma in realtà si scorge una pecca nell’esecuzione, cioè la fragilità della sua meditazione. La ragazza si scompone e fa un salto di gioia quando vede dove si è conficcata la freccia che ha scoccato, dimenticando che il tiro con l’arco è una cerimonia fatta di gesti tipici che vanno ripetuti con lievità ed eleganza e dimostrando che la sua concentrazione era tutta rivolta al bersaglio fisico mentre la meditazione che dovrebbe portare a colpire un bersaglio “spirituale” era assente.
«Per tiro con l'arco in senso tradizionale, che egli stima come arte e onora come retaggio, il giapponese non intende uno sport, ma, per strano che possa apparire, un rito. E così per 'arte' del tiro con l'arco egli non intende una abilità sportiva raggiunta più o meno compiutamente attraverso un esercizio in prevalenza fisico, ma una capacità acquistata attraverso esercizi spirituali e che mira a colpire un bersaglio spirituale: così dunque che l'arciere, in fondo, prenda di mira e forse arrivi a cogliere se stesso». [4]

La mancanza di meditazione è sottolineata anche dalla particolare composizione delle due tavole. Nella prima (pag. 125) si vedono la preparazione del tiro e la concentrazione sul bersaglio mentre bisogna voltare la pagina per vedere il risultato. Il fatto che questo risultato sia tenuto nascosto fino a che non si volta la pagina indica che c’è tensione nell’animo della ragazza, ci sono l’ansia e la smania di scoprire dove andrà la freccia. Mancano la fiducia, il trasporto e l’abbandono e l’attenzione è viva e tutta rivolta al risultato materiale.

Nel dodicesimo volume troviamo la seconda coppia di tavole dedicata al tema del tiro con l'arco. Le due tavole sono composte allo stesso modo di quelle del secondo volume analizzate poco prima. Anche in questo caso la preparazione del tiro avviene nella prima pagina mentre il risultato è tenuto nascosto e svelato solo nella pagina successiva.
Nonostante Hikari sia cresciuta e con lei sia maturata la sua esperienza di arciere, questa volta non solo la freccia non raggiunge nemmeno i cerchi esterni del bersaglio e si pianta nel muro ma la ragazza tradisce un'inquietudine esagerata che stona con un'arte fatta di calma e concentrazione.

Il fallimento del tiro non è dovuto alla poca dimestichezza con arco e frecce ma ad un turbamento provato poco prima parlando di primi baci (il primo bacio fra Hikari e Hideo ai tempi delle medie e il recente primo bacio dato per sbaglio da Hiro alla sua manager Haruka Koga) con il suo amico d’infanzia Hiro. Mitsuru Adachi in questo caso usa la coppia di tavole per rivelare quanto sia turbata la ragazza. Ci suggerisce che Hikari forse è pentita di avere scelto come fidanzato Hideo al posto di Hiro ma non ce lo dice esplicitamente, ci lascia incerti ad interpretare le due pagine zen.

Il comportamento di Hikari porta alla mente un passo del libro “Lo zen e l'arte di disporre i fiori” di Gusty Herrigel:
«Non basta mettersi al lavoro così come ci si recherebbe al tè delle cinque. Disporre fiori non è un passatempo né una distrazione. E' necessario prepararvisi con raccoglimento e concentrazione; bisogna incominciare fin dal mattino a compiere ogni gesto con calma e senza fretta, affinché ogni azione esprima equilibrio e armonia interiori. Questo atteggiamento dello spirito deve divenire così spontaneo e naturale da compenetrare la vita stessa. Nell'arte della composizione con fiori "l'azione interiore" deve andare di pari passo con l'azione esteriore. Soltanto così questa arte può esprimere la Totalità del Cielo, dell'Uomo e della Terra. Il momento in cui si esegue la composizione non è separato dal resto della giornata, esso va dal mattino fino alla sera. Tuttavia non è facile seguire l'invisibile sentiero dei fiori dall'alba al tramonto!» [5]

Finalmente nel ventiduesimo volumetto la costanza di Hikari dà i suoi frutti e a pagina 157-158 possiamo assaporare un tiro raffinato. Già a pagina 157 vediamo che la freccia si conficca, segno che è venuto meno il desiderio di scorgere con apprensione e curiosità il risultato materiale del tiro. Nell’ultima vignetta di pagina 157 la freccia e il bersaglio sono inquadrati di profilo, quasi a voler indicare un distacco di Hikari dal risultato materiale del tiro e un’“astrazione” verso il risultato spirituale.
Voltando pagina si ripete però l’effetto sorpresa visto nei due casi precedenti e si scopre che la freccia ha raggiunto il centro assieme ad altre. La smania del risultato non è però propria di Hikari ma della sua maestra esaltata che nella sequenza pare non essere per nulla zen… Come spesso accade Adachi non riesce a rimanere serio fino in fondo...

Cosa dire di questa serie di coppie di tavole? Oltre al fatto che sono degne di nota per l’argomento trattato e il modo in cui sono state impostate, fanno capire che Adachi ha pensato allo zen quando ha scritto “H2”. Si può ipotizzare che questa filosofia, così bene affrontata e illustrata con sintesi ma non con superficialità nelle tre coppie di tavole appena analizzate, ritorni in modo implicito nell’ultimo volumetto, dove assistiamo allo scontro finale fra Hiro e Hideo.
E’ possibile mettere a confronto l’atteggiamento di Hiro durante il suo ultimo lancio con i pensieri molto diversi di altri tre personaggi, Hideo Tachibana, Yanagi e Haruka Koga.
Hideo perde perché non riesce a “svuotarsi” e carica la sfida di un significato del tutto estraneo e lontano, cioè l’amore per Hikari. Per Hideo ribattere la palla lanciata da Hiro significa sconfiggere il rivale in amore, batterlo nel campo sentimentale oltre (e più) che in quello sportivo. Vuole vincere la sfida perché spera che così Hikari sia per sempre sua.

Anche un personaggio secondario, Yanagi, viene eliminato quando si presenta alla battuta. Lui ha in testa il rapporto difficile con il padre e il sogno (considerato da lui impossibile) di diventare professionista.
Infine Haruka Koga, tifosa numero uno di Hiro Kunimi e manager della sua squadra, al termine della combattutissima partita rivolge il suo primo pensiero alla madre di Hikari morta prematuramente nel corso del racconto. La prima cosa che fa quando la partita finisce è voltarsi verso il fondo della panchina dove, come sempre all’inizio di ogni gara, Hiro ha appeso una sua foto per sentirla vicina.
Questi tre personaggi hanno dunque approcci diversi alla partita di baseball, ma sempre tali da deviarli rispetto alla partita vera e propria. Ognuno di loro per i suoi particolari motivi si è distratto e allontanato e non è riuscito a vivere il gioco con purezza di spirito.

A Hiro invece non passa per la testa niente di tutto questo. Non per insensibilità, perché è rimasto molto scosso in seguito alla morte della donna a cui era molto affezionato e che per lui era stata una specie di seconda madre durante l’infanzia. Nemmeno perché ha rinunciato al suo amore per Hikari: basti pensare a quanto l’ha ricordata e cercata nelle tribune nel corso della partita. Prima dell'ultimo lancio riesce però a rendersi conto che è innamorata di Hideo, accantonandola senza però rinnegarla e cancellarla.

Prima dell'ultimo lancio Hiro capisce che giocare a baseball non significa contendersi Hikari, ricordare con tristezza sua madre o pensare al professionismo. L’ultimo lancio è diverso: non c’è più nulla a distrarlo e ad appesantirlo. Ci sono solo la palla, il guantone che riceverà il lancio e la terra del Koshien, il mitico stadio in cui si svolgono le finali nazionali del baseball studentesco giapponese. Hiro “si risveglia” e lancia la pallina solo perché è la cosa più naturale che possa concepire. Sospeso fra il cielo e il terreno di gioco, dimentico di quanto lo circonda, muove il braccio in avanti semplicemente per celebrare una cerimonia del baseball che lo fa sentire libero e appagato.

NOTE

[1] Mitsuru Adachi, H2, n. 1-34, trad. it. Emilio Martini, Star Comics, Perugia, 2001-2004 [1992-1999]

[2] Daisetz T. Suzuki, «Introduzione», trad. it. Gabriella Bemporad, in Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l'arco, Adelphi, Milano, 2001 [1953], pag. 11.

[3] Gusty Herrigel, Lo zen e l'arte di disporre i fiori, trad. it. Lucia Corradini, Se, Milano, 1993 [1958], pag. 35.

[4] Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l'arco, trad. it. Gabriella Bemporad, Adelphi, Milano, 2001 [1953], pag. 17.

[5] Gusty Herrigel, op. cit., pag. 23.

Read more!

I distributori di Abigail Press

FUMETTERIE

Alastor
http://www.alastor.sm/
II Traversa Galileo Galilei, 19
Arzano (Napoli)

PAN Distribuzione
http://www.pandistribuzione.it/HomePage.jsp
Via Cesare della Chiesa, 219
Modena

Star Shop
http://www.starshop.it/index.htm
Via dell'acciaio, 9
Ponte Felcino (Perugia)



LIBRERIE

NdA (Nuova distribuzione Associati)
http://www.ndanet.it/home.php

Via Bagnacavallo, 1/a
S. Giustina (Rimini)



INTERNET

Elenco di siti che vendono libri on line
http://abigailpress.blogspot.com/2007/12/vendita-in-internet.html

Read more!

Recensione di Fabio Oss

Trascrivo la prima recensione del mio libro intitolato Analisi del fumetto - La composizione delle coppie di tavole.

Potete farvi un'idea leggendo due paragrafi in anteprima su Fumetti di Carta:
"Rat-Man di Leo Ortolani
La metàfisica di Groucho
Sommario del libro e altre informazioni


Dal settimanale Bazar del 18 luglio 2007
L'ANGOLO DEL COLLEZIONISTA
di FABIO OSS
Riusciranno i nostri eroi?
C'era il tempo in cui i fumetti venivano diluiti anche nell'arco di mesi, se non di anni. I lettori meno giovani, si ricorderanno certo del Vittorioso, dell'Avventuroso, di Topolino giornale e di tante altre testate contenitori, come si usa chiamarle adesso. Specie nel periodo bellico, quando la scarsità della carta aveva costretto i vari editori a ridurre drasticamente le pagine di ogni numero a sei od anche a quattro, ogni facciata poteva essere occupata anche da due storie a puntate, di due o tre strisce cadauna. Ricordo Topolino giornale che pubblicò una trama romanzata sul navigatore italiano Sebastiano Caboto, illustrata da Bernardo Leporini, dal titolo "LA MONTAGNA D'ORO". Durò, dal n. 438 al n. 524, per ben 86 puntate. Trovereste qualche lettore paziente, al giorno d'oggi, che segua, settimana per settimana, per oltre un anno e mezzo, una storia del genere? Soltanto le trame infinite di "Un posto al sole" o "Dallas" riescono ad avvincere il pubblico fino a questo punto. Ma questo è un'altra storia.
Esistevano anche, e cisono ancora, serie di albi, dedicati ad una sola avventura, come Gim Toro, Tom Mix, Piccolo Sceriffo, Dragonball. Nell'ultima vignetta troviamo sempre la fatidica frase. "Riusciranno i nostri eroi a superare il pericolo?", oppure "Riuscirà Johnny a conquistare il cuore di Lara? Lo saprete nel prossimo numero."
Tutto questo per legare il lettore e convincerlo all'acquisto dell'albo successivo.
Qui arriviamo all'argomento della settimana. Un attento e fedele lettore di fumetti, LUIGI SIVIERO, trentino, laureato in giurisprudenza, ravvedutosi, come dice lui, e diventato critico fumettistico, ha dato alle stampe un preciso, puntiglioso ed esauriente studio sulla tecnica adottata dai maggiori autori di storie a vignette, per avvincere il lettore ed obbligarlo a "voltare pagina" per conoscere il seguito e la conclusione di un comics.
Un po' come succedeva anni fa, quando, però, il lettore era obbligato ad una lunga attesa settimanale, per conoscere la conclusione di un dato episodio. Oggigiorno, tutti hanno una maledetta fretta, come ho già detto, per cui il meccanismo viene impiegato, anche diverse volte nello stesso albo: La macchina corre sull'asfalto bagnato, slitta, sbanda e, forse, si capovolge. Giriamo pagina e, con un sospiro di sollievo, troviamo il nostro eroe che si fuma una sigaretta, anzi, poiché il fumo fa male, lo troviamo che si succhia una caramella alla menta.
Questo spostare alla pagina successiva, l'eventuale sorpresa narrativa, rende inutile lo sguardo dato complessivamente a tutta la pagina precedente. L'occhio del lettore, infatti, cerca di cogliere tutto il succo della storia con una veloce panoramica visiva, scrutando la zona aurea, ma la tecnica delle coppie di tavole rende inutile il suo tentativo.
Nel corso del volumetto "ANALISI DEL FUMETTO - LA COMPOSIZIONE DELLE COPPIE DI TAVOLE", Siviero analizza il sistema usato da diversi grossi autori di comics, da LEO ORTOLANI ed il suo RAT-MAN, a MORRISON e McKEAN con il classico "BATMAN: ARKHAM ASYLUM" (spero lo conosciate, è un capolavoro da non perdere). Ci sono anche "GEORGIE" di MAN IZAWA e YUMIKO IGARASHI, "MAZINGER Z" di GO NAGAI e GOSAKU OTA, "DYLAN DOG" di TIZIANO SCLAVI, "QUELLA NOTTE..." di BARRY WINDSOR-SMITH ed altri.
Non voglio inoltrarmi oltre nella descrizione del contenuto, per lasciare ai lettori il gusto di scoprire direttamente le attente analisi dell'autore. Potete trovare il libro in vari punti vendita, o potrete avere maggiori chiarimenti entrando nel sito www.fumettidicarta.it, nella rubrica "House of Mystery" curata personalmente da Luigi Siviero.

Read more!

La metàfisica di Groucho



In anteprima il paragrafo 2.3 del libro Analisi del fumetto - La composizione delle coppie di tavole.

La metàfisica di Groucho
«Metafisica? Se metà è fisica, l'altra metà com'è?»
si chiede Groucho - il ben noto assistente di Dylan Dog - senza realizzare sul momento di stare partorendo quella che diventerà la più celebre fra le sue infinite battute e forse senza rendersi conto che la frase nasconde più di un fondo di verità (1).
Metafisica, cioè ciò che viene dopo la fisica. Inizialmente era un nome di comodo ideato dai filosofi successivi ad Aristotele per riferirsi a quei testi dello Stagirita che, nell'ordine in cui erano stati tramandati, erano collocati dopo gli scritti sulla fisica (2).
Si tratta quindi di un nome dalla doppia anima in cui il significato posteriore raffinato convive con un'origine schietta e sfacciatamente servile, quasi a preannunciare possibili domande e presunte risposte.
Groucho, pur sbagliando l'etimologia, coglie questa ambivalenza nella metafisica da un lato coniando una definizione scalcinata e dall'altro suggerendo che ci sia qualcosa di ulteriore davanti al quale affacciarsi con l'atto del domandare.
Groucho quindi non fa solo ironia spiccia, perché per mezzo della sua battuta suggerisce una metafisica dalla natura ossimorica in cui la convivenza e l'impasto fra poli antitetici va oltre il semplice aspetto semantico, lasciando intravedere la convivenza di contraddizioni che non si limitano alla nascita del nome contrapposta al significato assunto con il passare del tempo.

La cosa più importante da notare a proposito di questa battuta è che Tiziano Sclavi (tramite Groucho) percorre la strada non ortodossa della "folle ironia". Questo approccio - una sorta di riverenza che porta a non affrontare il tema di petto, compensata con l'imbocco di vie personali e poco battute - è una costante nei suoi fumetti di “Dylan Dog” e infatti si può trovare un esempio anche in “Ucronìa” (3), un albo uscito a distanza di quasi venti anni da quello con la battuta di Groucho sulla metà fisica.

A pagina 79 di “Ucronìa” si legge questo dialogo fra Dylan Dog e l'ispettore Bloch.
Bloch: «Abbiamo diffuso il suo identikit, ma niente, neanche una segnalazione. Svanito nel nulla».
Dylan Dog (nuvoletta di pensiero): «Il nulla».
«Il nulla esiste o non esiste? Cosa ne direbbe Knock?... Forse la realtà è un non-nulla... un nonnulla...»
Bloch: «Beh, ti lascio, old boy».
«Vado a farmi licenziare dal soprintendente».
Dylan Dog: «Ciao, vecchio e grazie di tutto».
Bloch: «Di niente. E' proprio il caso di dirlo: di niente».

L'andamento di questo ciclo di parole e pensieri è tortuoso.
Non si tratta di un vero e proprio dialogo perché Bloch parla mentre Dylan Dog rielabora mentalmente quello che dice l'ispettore, in una sequenza di nuvolette che, per i cambiamenti di rotta repentini, ha un sapore onirico. La parola "nulla" è detta da Bloch senza la minima intenzione di chiamare in causa la filosofia ma Dylan Dog la prende di peso portandola drasticamente in un altro contesto - questo sì metafisico - fatto di nulla, realtà e nonnulla. Alla fine della sequenza però Bloch si riappropria di quel nulla (diventato "niente") riconducendolo dal campo della metafisica a quello delle sue preoccupazioni e delusioni di ispettore lontano dalla pensione.
Quest'altalena di pensieri rivolti tanto a un nulla quotidiano (il nulla della pensione di Bloch se verrà licenziato) quanto a un nulla che è l'idea di nulla ricorda da vicino quella tensione nella metafisica individuata nella battuta di Groucho.
E in mezzo a tutto questo spicca il ragionamento di Dylan Dog - la "folle ironia"? - che fra sé passa con nonchalance dal nulla al non-nulla fino ad arrivare al nonnulla.

Sempre in “Ucronìa” c'è un altro esempio di questo tipo di approccio da parte di Sclavi. Il professor Knock spiega che nella fisica quantistica il nucleo della particella può esistere contemporaneamente in due condizioni, intatto o disintegrato, finché un osservatore non lo esamina. Secondo un'efficace metafora (4) del fisico Erwin Schrödinger se si chiude un gatto in una scatola non si può sapere se è vivo o morto fino a quando non si riapre la scatola per osservarlo.
Nel fumetto la scatola è sostituita con la coppia di tavole (sulla composizione delle coppie di tavole ho scritto questo articolo). Nella tavola pari il gatto è nella scatola e per Dylan Dog non c'è nulla di quantistico se non la prevaricazione nei confronti di un animale indifeso. Fino a che non si volta la tavola (azione che coincide con l'apertura della scatola) non si può sapere se il gatto è vivo o morto. Cosa succede girando la pagina? Si scopre che nella scatola ci sono due gatti, uno vivo e l'atro morto!

Come nei casi precedenti un argomento "istituzionale" viene stravolto con una deviazione verso un territorio nuovo dove regnano l'assurdo e l'inaspettato. Mi sembra che ci sia da parte di Sclavi sia una sorta di timidezza che lo porta a visitare questo tipo di argomenti con un velo di rispetto sia la voglia di meravigliare il lettore, portandolo lontano da trattazioni ingessate e pedanti.

NOTE
(1) Tiziano Sclavi e Montanari & Grassani, «La Zona del Crepuscolo», in Dylan Dog Collezione Book, Sergio Bonelli Editore, Milano, 1996 [1987], pag. 41.

(2) Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, Vol. I, Paravia, Torino, 1996, pag. 304: “Il termine «metafisica» non è aristotelico. Con esso la posteriorità e la tradizione hanno indicato (…) quella parte della filosofia che indaga le strutture profonde e le cause ultime del reale, che vanno al di là delle apparenze immediate dei sensi o del campo di studio della fisica. Per indicare tale disciplina, Aristotele usava il termine «filosofia prima». Sebbene la nascita della parola metafisica sia casuale, in quanto pare che essa risalga ad Andronico di Rodi, che nel I secolo d.C., ordinando i capolavori aristotelici, mise «metà tà fusika», cioè dopo i libri di fisica, le opere di filosofia prima, la posterità ha preferito indicare con il nome di «metafisica», forse perché più suggestivo e pregnante, ciò che Aristotele denominava «filosofia prima»”.

(3) Tiziano Sclavi e Franco Saudelli, «Ucronìa», in Dylan Dog, n. 240, Sergio Bonelli Editore, Milano, 2006, pag. 79.

(4) Bruno Corazza, «Il gatto di Schroedinger ovvero dov'è la luna quando la guardo?», nel sito http://scientiaemunus.provincia.parma.it; in questo articolo l'autore parla di universi paralleli connessi al Paradosso del gatto di Schrödinger: «Si può pensare che la teoria sia per così dire sovrabbondante, prevedendo una infinità di universi “paralleli”, ma incomunicabili tra loro. Potremmo pensare che si tratta di universi possibili di cui uno, quello in cui ci troviamo, si è realizzato. Ma non possiamo escludere, se ci consola pensare che magari in un altro universo siamo in uno stato più felice, che tutti gli universi possibili siano realizzati. Restando però incrollabile l’impossibilità di un passsaggio dall’uno all’altro nonché quella di poter in qualche modo avere prove che gli altri universi esistono».

Read more!

mercoledì 29 agosto 2007

Rat-Man di Leo Ortolani


In anteprima il paragrafo 2.2 del libro Analisi del fumetto - La composizione delle coppie di tavole:

"Rat-Man" di Leo Ortolani

«E' un topo col muso di scimmia? E' una scimmia col muso di topo? E' un povero imbecille che non può fare a meno di infilarsi due patetiche orecchie da topo e andare in giro in calzamaglia? Probabilmente tutte queste cose messe assieme» (1).
Rat-Man, il personaggio di Leo Ortolani che si è ritagliato un posto di primo piano nel fumetto contemporaneo, è una povera sagoma che in apparenza può sembrare un parente stretto di Batman, il pipistrellone creato da Bob Kane: è ricchissimo e il maggiordomo Arcibaldo si prende cura di lui, vive isolato in una villa nella periferia della Città senza Nome, il fido Tòpin the Wonder Mouse gli fa da spalla e infine ha avuto la sua vocazione da giustiziere mascherato quando un roditore gli è apparso davanti all'improvviso (ma per Batman si è trattato di un pauroso pipistrello mentre il Rat-Man ha ricevuto dal postino una copia del settimanale del Topo...) (2).
C'è però un dettaglio che tradisce il personaggio di Ortolani e mette in dubbio il legame di sangue col Cavaliere Oscuro: il trattino tra “Rat” e “Man”. Il nome "Batman" ne è privo mentre lo troviamo nel marvelliano “Spider-Man”. E Rat-Man è infatti un personaggio di stampo marvelliano, come ha modo di precisare in un'intervista lo stesso Ortolani: «In realtà ho sempre pensato di più a L'Uomo Ragno perché - lo confesso - di Batman non ho mai letto nemmeno una storia. Tra l'altro, la prima apparizione di Rat-Man è del 1989, in contemporanea con il primo film dell'Uomo Pipistrello, quello di Tim Burton, che io, però, ho visto solo in seguito e in videocassetta» (3).
Il DNA marvelliano di Rat-Man viene mappato in un articolo di Maurizio Clausi:
«E quando affermiamo che il riferimento di Ortolani è la Marvel degli anni Sessanta non ci riferiamo all'origine dei fumetti da parodiare, quanto piuttosto all'uso di stilemi e linguaggi che oggi chiamiamo Marvel Style.
«Ortolani riprende con grande maturità gli elementi caratteristici di quello stile, piegandoli alle sue esigenze narrative o distaccandosene, il tutto con una brillante coerenza interna» (4).
E' marvelliano il senso di inadeguatezza di cui è consapevole Rat-Man.
E' prigioniero della sua faccia da scimmia strapazzata come la Cosa lo è della forma rocciosa. E' stracarico di superproblemi come e più dell'Uomo Ragno (altro che playboy milionario alla Bruce Wayne...) e il suo superproblema è che non riesce in nulla.
Oltre a questi aspetti tipicamente marvelliani l'autore attinge a forme di linguaggio che appartengono al fumetto americano tout court ma che vanno lo stesso ricondotte esclusivamente al modo di fare fumetti della Casa delle Idee per via dell'amore e della preferenza di Ortolani per la Marvel. Per esempio la splash page d'apertura è stata per anni un tratto distintivo tanto dei fumetti Marvel quanto di quelli DC ma è sui primi che l'autore l'ha conosciuta, capita e assimilata. «In un fumetto di Rat-Man la tavola che contiene il titolo è costruita come quella, equivalente, di un fumetto supereroistico. L'immagine è a tutta pagina e sintetizza uno dei motivi principali della storia, il titolo è ben visibile con grafica spettacolare, le didascalie (tante, perché il discorso, impreziosito dalle pause, moltiplica la tensione e la suspance) offrono un tono epico alla vicenda» (5).
Inoltre è kirbyano lo stile grafico. Ortolani cattura la potenza dei disegni di Jack Kirby, la metabolizza e la usa con naturalezza in un fumetto che ha nella comicità una delle sue maggiori ragioni di esistere. Se l’autore riesce a raggiungere in modo convincente questa strana fusione è grazie a un amore di vecchia data per l’autore americano (6) che, nei primi anni ’90 e prima del grande successo di Rat-Man, era stato espresso addirittura con la realizzazione di quattro numeri apocrifi di “Fantastic Four” per la rivista “Made in U.S.A.(7).
Anche la composizione delle coppie di tavole imparenta Rat-Man con il fumetto americano. Nelle sue disavventure si possono individuare dei veri e propri effetti sorpresa realizzati con la combinazione di due tavole. E' il caso di "La minaccia verde" (8), uno degli episodi più amati dai lettori perché ha per protagonista la dolcissima Thea. Nella nona tavola Rat-Man pranza con il padre di Thea quando a un tratto (nell'ultima vignetta) i due vengono richiamati da un urlo; girando la pagina si scopre una splash page in cui Thea viene stritolata dai tentacoli di un essere mostruoso.
Che lo scopo sia accentuare l'elemento drammatico (e di conseguenza la coppia di tavole con il suo effetto sorpresa sia al servizio di questo intento) viene confermato dallo stesso Ortolani:
(commentando le tavole otto e nove) «La naturale inclinazione di questa storia verso il drammatico e la mia manifesta incapacità a fare qualcosa per evitarlo, emergono maggiormente in queste scene di raccordo. A mio parere ci sono pochissime battute, spesso "sovrapposte" alla storia senza che la accompagnino con fluidità, come in una vera storia comica. In queste due pagine, la scena della cena è un chiaro esempio di ciò che intendo. La battuta del "coperchio", quella del "vecchio sciocco" e quella di "ha sentito il vino" sono poco più che pennellate di colore giallo su un quadro dai toni blu». E poi (commentando la tavola dieci che va a formare la coppia): «Finalmente la splash page rivelatrice dell'abominio chiamato “Primis”» (9).

Ortolani però va oltre e non utilizza le coppie di tavole per creare unicamente degli effetti sorpresa, tipici dei fumetti di azione e avventura. Il suo Rat-Man è anche e soprattutto un personaggio comico e ogni racconto contiene una raffica di gag.
La composizione delle coppie di tavole viene così piegata a questa sua esigenza, come avviene per esempio in "Rat-Man contro il Ragno!" (10)
La polizia ha circondato un edificio fatiscente in cui si nasconde un "teppistello" che non riesce a stanare. Per fortuna arriva ad aiutarli il Rat-Man che nelle tavole 7 e 8 (11) dà un saggio delle sue capacità...
L'agente Valker è scettico: «Ho chiesto rinforzi... Non crederà davvero che quell'imbecille riesca a catturare il Ragno, vero?»
La risposta del capitano Krik è piccata: «Quell'imbecille, Valker, è Rat-Man! La giustizia vivente! Il braccio mascherato della legge! E sono pronto a scommettere che la cattura è già avvenuta!»
Ovviamente il capitano Krik ha preso un granchio. Voltando la pagina si vede Rat-Man intrappolato fino alle mutande nella gigantesca tela del Ragno...

Si può chiudere il cerchio citando un fumetto della Marvel in cui la coppia di tavole non è destinata al classico effetto sorpresa ma alla battuta, come avviene in un numero dei “Fantastici Quattro(12) di J. Michael Straczynski e Mike McKone.
I due autori, pur puntando moltissimo su temi come la fantascienza pura e i grandi quesiti della metafisica, non perdono di vista la necessità di esplorare la quotidianità e le piccole debolezze dei personaggi della serie. Ecco quindi che Sue deve combattere contro un'assistente sociale seriamente intenzionata a strapparle i bambini perché ritiene troppo pericolosa la vita nel Baxter Building assieme ad una famiglia continuamente nel mirino di supercriminali pazzi e invasori alieni.
Per placare questa invadente intrusa, Sue decide di nasconderle che la baby sitter di Valeria e Franklin è Crystal degli Inumani, domiciliata sulla Luna. La Donna Invisibile fa buon viso e cattivo gioco e decide di assumere una ragazza terrestre. Al colloquio si presenta una schiera di inconsapevoli ragazze che pensano di trovarsi in un grattacielo qualunque per essere assunte da una famiglia qualunque.
Non sanno che si trovano nella tana del lupo e il ragazzino con cui parlano e che in futuro una di loro accudirà è il figlio di Sue e Reed Richards, celebri quando indossano il costume attillato.
«Oh, ciao, tu devi essere il piccolo Franklin. Tua madre ci stava parlando di te.
«Vi ha parlato dei mostri?» chiede il bambino.
Le ragazze restano interdette e attribuiscono la domanda alla fervida immaginazione di Franklin.
Devono presto sgranare gli occhi e ricredersi perché - voltando pagina - si presenta davanti a loro un energumeno di pietra arancione che le saluta con un «Salve bellezze, come va?»...


NOTE
(1) Andrea Plazzi, «Chi è Rat-Man?», Tutto Rat-Man, n. 1, prima ristampa, Panini Comics, Modena, 2002 [1997], pag. 33.
(2) Leo Ortolani, «Le sconvolgenti origini del Rat-Man», Tutto Rat-Man, n. 1, prima ristampa, Panini Comics, Modena, 2002 [1996], pag. 7.
(3) Diego Del Pozzo, «Leo Ortolani... L'intervista!», Tutto Rat-Man, n. 4, prima ristampa, Panini Comics, Modena, 2002 [1998], pag. 64.
(4) Maurizio Clausi, «Il topo dietro la maschera», Tutto Rat-Man, n. 7, prima ristampa, Panini Comics, Modena, 2003 [1998], pag. 118.
(5) Andrea Plazzi, «Segnali di stile», in I Classici del fumetto di Repubblica, n. 18, La Repubblica, Roma, 2003, pag. 8.
(6) Jack Kirby è stato addirittura protagonista di un episodio di “Rat-Man”: Leo Ortolani, «Il Re e io», Rat-Man Collection, Cult Comics, Modena, 2002.
(7) Leo Ortolani, «I Fantastici Quattro», Made in U.S.A., n. 7-10, Pisa, 1992-1994. I quattro finti numeri dei Fantastici Quattro, usciti come flip book della rivista, avevano una finta numerazione che partiva dal 103 e una grafica interna identica a quella dei fumetti della Corno. Il primo numero era presentato in questo modo: «Con orgoglio e commozione vi offriamo in esclusiva per l’Italia un autentico scoop: la conclusione della saga dei Fantastici Quattro. Sì, vi vediamo già increduli e sbigottiti, ma è proprio così: FANTASTIC FOUR ha chiuso i battenti negli anni ’70! Quel che è peggio è che nessuno ci ha detto niente: la diabolica Corno non solo modificava i colori dei costumi dei supereroi, ma per anni ha pubblicato banali racconti (realizzati a Sesto Milanese da un bieco manipolo di autori che imitava, e male, quelli statunitensi) pur di continuare a sfruttare il successo che I FANTASTICI QUATTRO riscuotevano da noi ma che in America, lo ribadiamo, non esce più da anni». Ovviamente la “diabolica macchinazione” era iniziata dopo il n. 102, l’ultimo disegnato da Kirby.
(8) Leo Ortolani, «La minaccia verde», Tutto Rat-Man, n. 1, prima ristampa, Panini Comics, Modena, 2002 [1996], pag. 67.
(9) Leo Ortolani, «Dietro le quinte 2», nel sito http://www.imd.it
(10) Leo Ortolani, «Rat-Man contro il Ragno!», Tutto Rat-Man, n. 1, prima ristampa, Panini Comics, Modena, 2002 [1995], pag. 41.
(11) Ortolani, commentando questo episodio della serie, quando parla di pagina 8 afferma esplicitamente di avere voluto creare una composizione (per opposizione): «I primi numeri dell'autoproduzione avevano schemi abbastanza fissi nello stabilire gli accadimenti all'interno della storia. Poiché avevo a disposizione poche pagine (24), a un terzo e a due terzi della narrazione doveva succedere qualcosa che facesse avanzare la storia in maniera spettacolare. Qualunque cosa essa fosse, l'apparizione del nemico o altro, ne sottolineavo l'importanza con una "splash page" (pagina in cui c'è un'unica grande vignetta), che il lettore si trova davanti "all'improvviso" voltando pagina. È un trucco narrativo abbastanza semplice: voltando pagina, c'è il colpo di scena. Inserire una splash page nella pagina a fianco a quella che state leggendo non ha lo stesso impatto, perché la vedete già». Vedi Leo Ortolani, «Dietro le quinte 1», nel sito http://www.imd.it
(12) J. Michael Straczynski e Mike McKone, «Appuntamento ritardato», trad. it. Andrea Plazzi, Fantastici Quattro, n. 260, Marvel Italia, Modena, 2006 [2005], pag. 15.

Vedi anche:
la descrizione del libro nel blog di Abigail Press.

Read more!