giovedì 30 agosto 2007

La metàfisica di Groucho



In anteprima il paragrafo 2.3 del libro Analisi del fumetto - La composizione delle coppie di tavole.

La metàfisica di Groucho
«Metafisica? Se metà è fisica, l'altra metà com'è?»
si chiede Groucho - il ben noto assistente di Dylan Dog - senza realizzare sul momento di stare partorendo quella che diventerà la più celebre fra le sue infinite battute e forse senza rendersi conto che la frase nasconde più di un fondo di verità (1).
Metafisica, cioè ciò che viene dopo la fisica. Inizialmente era un nome di comodo ideato dai filosofi successivi ad Aristotele per riferirsi a quei testi dello Stagirita che, nell'ordine in cui erano stati tramandati, erano collocati dopo gli scritti sulla fisica (2).
Si tratta quindi di un nome dalla doppia anima in cui il significato posteriore raffinato convive con un'origine schietta e sfacciatamente servile, quasi a preannunciare possibili domande e presunte risposte.
Groucho, pur sbagliando l'etimologia, coglie questa ambivalenza nella metafisica da un lato coniando una definizione scalcinata e dall'altro suggerendo che ci sia qualcosa di ulteriore davanti al quale affacciarsi con l'atto del domandare.
Groucho quindi non fa solo ironia spiccia, perché per mezzo della sua battuta suggerisce una metafisica dalla natura ossimorica in cui la convivenza e l'impasto fra poli antitetici va oltre il semplice aspetto semantico, lasciando intravedere la convivenza di contraddizioni che non si limitano alla nascita del nome contrapposta al significato assunto con il passare del tempo.

La cosa più importante da notare a proposito di questa battuta è che Tiziano Sclavi (tramite Groucho) percorre la strada non ortodossa della "folle ironia". Questo approccio - una sorta di riverenza che porta a non affrontare il tema di petto, compensata con l'imbocco di vie personali e poco battute - è una costante nei suoi fumetti di “Dylan Dog” e infatti si può trovare un esempio anche in “Ucronìa” (3), un albo uscito a distanza di quasi venti anni da quello con la battuta di Groucho sulla metà fisica.

A pagina 79 di “Ucronìa” si legge questo dialogo fra Dylan Dog e l'ispettore Bloch.
Bloch: «Abbiamo diffuso il suo identikit, ma niente, neanche una segnalazione. Svanito nel nulla».
Dylan Dog (nuvoletta di pensiero): «Il nulla».
«Il nulla esiste o non esiste? Cosa ne direbbe Knock?... Forse la realtà è un non-nulla... un nonnulla...»
Bloch: «Beh, ti lascio, old boy».
«Vado a farmi licenziare dal soprintendente».
Dylan Dog: «Ciao, vecchio e grazie di tutto».
Bloch: «Di niente. E' proprio il caso di dirlo: di niente».

L'andamento di questo ciclo di parole e pensieri è tortuoso.
Non si tratta di un vero e proprio dialogo perché Bloch parla mentre Dylan Dog rielabora mentalmente quello che dice l'ispettore, in una sequenza di nuvolette che, per i cambiamenti di rotta repentini, ha un sapore onirico. La parola "nulla" è detta da Bloch senza la minima intenzione di chiamare in causa la filosofia ma Dylan Dog la prende di peso portandola drasticamente in un altro contesto - questo sì metafisico - fatto di nulla, realtà e nonnulla. Alla fine della sequenza però Bloch si riappropria di quel nulla (diventato "niente") riconducendolo dal campo della metafisica a quello delle sue preoccupazioni e delusioni di ispettore lontano dalla pensione.
Quest'altalena di pensieri rivolti tanto a un nulla quotidiano (il nulla della pensione di Bloch se verrà licenziato) quanto a un nulla che è l'idea di nulla ricorda da vicino quella tensione nella metafisica individuata nella battuta di Groucho.
E in mezzo a tutto questo spicca il ragionamento di Dylan Dog - la "folle ironia"? - che fra sé passa con nonchalance dal nulla al non-nulla fino ad arrivare al nonnulla.

Sempre in “Ucronìa” c'è un altro esempio di questo tipo di approccio da parte di Sclavi. Il professor Knock spiega che nella fisica quantistica il nucleo della particella può esistere contemporaneamente in due condizioni, intatto o disintegrato, finché un osservatore non lo esamina. Secondo un'efficace metafora (4) del fisico Erwin Schrödinger se si chiude un gatto in una scatola non si può sapere se è vivo o morto fino a quando non si riapre la scatola per osservarlo.
Nel fumetto la scatola è sostituita con la coppia di tavole (sulla composizione delle coppie di tavole ho scritto questo articolo). Nella tavola pari il gatto è nella scatola e per Dylan Dog non c'è nulla di quantistico se non la prevaricazione nei confronti di un animale indifeso. Fino a che non si volta la tavola (azione che coincide con l'apertura della scatola) non si può sapere se il gatto è vivo o morto. Cosa succede girando la pagina? Si scopre che nella scatola ci sono due gatti, uno vivo e l'atro morto!

Come nei casi precedenti un argomento "istituzionale" viene stravolto con una deviazione verso un territorio nuovo dove regnano l'assurdo e l'inaspettato. Mi sembra che ci sia da parte di Sclavi sia una sorta di timidezza che lo porta a visitare questo tipo di argomenti con un velo di rispetto sia la voglia di meravigliare il lettore, portandolo lontano da trattazioni ingessate e pedanti.

NOTE
(1) Tiziano Sclavi e Montanari & Grassani, «La Zona del Crepuscolo», in Dylan Dog Collezione Book, Sergio Bonelli Editore, Milano, 1996 [1987], pag. 41.

(2) Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, Vol. I, Paravia, Torino, 1996, pag. 304: “Il termine «metafisica» non è aristotelico. Con esso la posteriorità e la tradizione hanno indicato (…) quella parte della filosofia che indaga le strutture profonde e le cause ultime del reale, che vanno al di là delle apparenze immediate dei sensi o del campo di studio della fisica. Per indicare tale disciplina, Aristotele usava il termine «filosofia prima». Sebbene la nascita della parola metafisica sia casuale, in quanto pare che essa risalga ad Andronico di Rodi, che nel I secolo d.C., ordinando i capolavori aristotelici, mise «metà tà fusika», cioè dopo i libri di fisica, le opere di filosofia prima, la posterità ha preferito indicare con il nome di «metafisica», forse perché più suggestivo e pregnante, ciò che Aristotele denominava «filosofia prima»”.

(3) Tiziano Sclavi e Franco Saudelli, «Ucronìa», in Dylan Dog, n. 240, Sergio Bonelli Editore, Milano, 2006, pag. 79.

(4) Bruno Corazza, «Il gatto di Schroedinger ovvero dov'è la luna quando la guardo?», nel sito http://scientiaemunus.provincia.parma.it; in questo articolo l'autore parla di universi paralleli connessi al Paradosso del gatto di Schrödinger: «Si può pensare che la teoria sia per così dire sovrabbondante, prevedendo una infinità di universi “paralleli”, ma incomunicabili tra loro. Potremmo pensare che si tratta di universi possibili di cui uno, quello in cui ci troviamo, si è realizzato. Ma non possiamo escludere, se ci consola pensare che magari in un altro universo siamo in uno stato più felice, che tutti gli universi possibili siano realizzati. Restando però incrollabile l’impossibilità di un passsaggio dall’uno all’altro nonché quella di poter in qualche modo avere prove che gli altri universi esistono».

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